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«Ecco i miei cannoni sono queste dodici fanciulle vestite di bianco che precederanno la carovana, le nostre armi saranno solo la tolleranza, il perdono, la pazienza. Andiamo dunque, non temete di nulla». Con queste parole, scritte la sera del 17 agosto 1878, un Davide Lazzaretti da poco scomunicato esortava gli adepti della comune da lui fondata sul Monte Labro a seguirlo nella processione al termine della quale la morte lo avrebbe raggiunto dai fucili dei Regi carabinieri.

SUITE DI MARIOTTINI SUGLI SCRITTI DEL PREDICATORE DELL’AMIATA

Parole semplici che riflettevano bene pensiero e azioni modernissimi del profeta dell’Amiata: un pacifista egualitario e visionario che coniugava socialismo e Francia comunarda, misticismo, millenarismo e cristianesimo primitivo, assoluta comunione dei beni e parità di doveri e diritti (fino al voto alle donne: era il 1870). Son state queste parole a spingere Mirco Mariottini, maremmano come Lazzaretti, verso la composizione della Suite su Davide Lazzaretti. Visioni in musica sugli scritti di Davide che oggi dirige in piazza dei Priori per Volterra Jazz (21.30, euro 10 e 8; 338/2028412, replica il 19 a Gavorrano). Ai suoi ordini un’ensemble di dodici, come le fanciulle di Lazzaretti, eccellenti giovani musicisti (voci, archi, ance, piano, basso, batteria), ospite la tromba dell’ottimo Giovanni Falzone, jazzista di solido rango europeo. Come Mariottini d’altronde (venerdì è a Bagno Vignoni con un maestro del jazz come il pianista John Taylor), forte di una granitica preparazione classica e di una vibrante passione contemporanea. Ma soprattutto innamorato di un’idea di musica totale, senza barriere né etichette, e senza però fare di questa libertà l’ennesima ricetta di marketing culturale.

«Tutto è nato nell’ estate 2010 – racconta – durante un mio seminario a Casteldelpiano: avevo arrangiato alcuni brani per i miei allievi, che son poi diventati l’orchestra del concerto, e ce n’era uno che aveva bisogno di un testo. Provai con Pasolini e altri poeti: nulla. Finché m’imbattei nelle ultime parole di Lazzaretti e sentii che funzionavano. Lessi poi tutto il libro sul quale le avevo trovate e finii di convincermi: non si deve dimenticare Lazzaretti. Poi mi sono fatto aiutare daI centro studi di Arcidosso a lui dedicato, e piano piano la musica è venuta fuori come da sé, i pezzi nascevano in treno, di notte, viaggiando in auto. I suoi testi inoltre hanno un potere evocativo e una forza anche sonora, teatrale, che mi fanno venire i brividi, come quando racconta dei violenti attacchi di febbre durante i quali aveva visioni acutissime. La musica è per me quel che l’amore era per Lazzaretti: un valore universale in cui tutto può convivere, al di là delle differenze stilistiche che restano solo forme diverse di un solo sentimento universale. Una sorta, insomma, di comunismo musicale. Come quello trale persone che, nel rispetto dell’individualità di ognuno, avveniva fra i giurisdavidici di Lazzaretti, dci quale ho cercato di riprendere lo spirito facendo convivere diverse forme musicali: la canzone, cui ho affidato testi suoi e di Toni Carli, dodecafonia e serialità, sequenze medievali riviste in chiave moderna, tracce del Berio di Laborynthus, la nostra tradizione della bella melodia anche operistica, fino al jazz che nella suite porta la sua grande libertà, la sua capacità di assorbire e riplasmare unificando li linguaggi e stili diversi. Lazzaretti è una figura di tale complessità che mi è impossibile dire “l’ho capito”: di certo però ho fatto mio il suo messaggio di pace e uguaglianza attive, che cercano di incidere su una realtà che ci pare ingiusta. E l’ho affidato alla mia sola arma, la musica».

PAOLO RUSSO // LA REPUBBLICA, Mercoledì 07 agosto 2013

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